Riceviamo e pubblichiamo il documento finale della prima riunione – convegno organizzata il 13/06/2012 dal Cai di Cagliari per affrontare il problema della sicurezza di fix e fittoni inox per l’arrampicata in ambiente marino.
Si è svolta a Cagliari una riunione/convegno promossa dalla Scuola di Alpinismo del CAI di Cagliari alla quale hanno partecipato buona parte dei chiodatori della Sardegna, ingegneri ed esperti di metalli a vario titolo. Dopo il recente articolo pubblicato su Planetmountain a firma Maurizio Oviglia e Claude Remy e la lettera aperta di Corrado Pibiri (INA), l’obiettivo della riunione si è focalizzato sull’individuazione delle misure urgenti di sicurezza che evitino, qualora si verifichino altre subdole rotture di fix e fittoni inox, incidenti più gravi di quelli successi sino ad ora.
Tali incidenti potrebbero portare ad indagini legali e addirittura a qualche ordinanza di chiusura delle falesie da parte dei sindaci.
Si è concordato in primo luogo di pensare a mettere in sicurezza le soste. In Sardegna, come del resto in molte zone d’Europa, sono state spesso adottate le cosiddette “soste alla francese”, che consistono in due punti non collegati tra di loro in cui far passare la corda in fase di calata. Questo permette di evitare un collegamento con catena e maillon che, soprattutto in zone marine, andrebbe velocemente a deteriorarsi.
Stante il fatto, confermato dalla testimonianza di molti degli intervenuti, che:
– diversi stranieri non hanno compreso come si utilizza questo tipo di sosta
– si attaccano a solo uno dei punti di sosta
– si calano solo su un punto…
e che alla luce degli ultimi accadimenti risulta essere una prassi potenzialmente pericolosissima, si è deciso di adottare le seguenti misure:
1) Adoperarsi come scuole di alpinismo, istruttori di arrampicata o semplici praticanti esperti, ad insegnare e a far eseguire correttamente la manovra in sosta affinchè non si rimanga mai su un solo punto. Inoltre la manovra di passaggio della corda in sosta dovrà essere eseguita sempre dal primo di cordata (e mai dal secondo) che la effettua quindi con la corda passata dentro tutti i rinvii del tiro.
2) Provvedere a collegare i punti della sosta alla francese con una catena (facendo attenzione alla compatibilità dei materiali e a non mescolare inox con acciaio zincato) o un cordone, in modo che se anche qualcuno distrattamente si dovesse attaccare a solo uno di essi e questo dovesse cedere, il collegamento gli impedirebbe di precipitare.
3) Aggiungere un terzo punto di sosta in quelle falesie particolarmente sensibili (direttamente sul mare o fortemente esposte ai cloruri), in modo che se per caso dovessero essere corrosi tutti e due i vecchi ancoraggi ve ne sarebbe sempre un terzo.
Su questo terzo punto la discussione si è protratta fino a tarda ora. Alcuni sostengono che sia meglio utilizzare un terzo punto inox in acciaio 316L, che dia una garanzia di resistenza alla corrosione per un periodo molto maggiore del 304, solitamente utilizzato in questi anni. Tuttavia gli ingegneri presenti hanno confermato che non vi siano garanzie sul fatto che dopo un lasso di tempo, dipendente da molti fattori, anche una qualità ottima dell’inox non si deteriori arrivando a subdole rotture senza alcun segno premonitore. La maggior parte dei presenti ha quindi votato per l’utilizzo di un terzo punto in acciaio zincato, che una volta arrugginito possa essere cambiato (e che almeno risulti chiaro visivamente quando diventa inaffidabile). Una volta collegati tutti i tre punti la calata e la moulinette dovranno essere effettuate su un maillon rapide inox oppure su un moschettone, che dovrà essere cambiato con frequenza dai fruitori della falesia.
E’ apparso subito evidente come una falesia sul mare abbia bisogno di un continuo monitoraggio e una manutenzione periodica dei materiali infissi, esattamente come le barche a vela. Per questo si è deciso di compiere delle prove e, alla luce dei risultati, cambiare eventualmente il modus operandi degli attrezzatori, che dovrà essere per forza di cose il più univoco possibile.
A tal proposito il problema è stato affrontato anche da un punto di vista ecologico. Dovendo arrivare, per forza di cose, ad una manutenzione regolare dei siti di arrampicata, sarebbe poco etico e fortemente impattante per l’ambiente, e per l’occhio stesso, la presenza di tanto materiale infisso sulla roccia. Si è pensato di mettere allo studio dei fix meccanici che possano essere estratti facilmente dal loro foro di alloggiamento quando arriva per loro il momento di essere sostituiti. In tal modo si eviterebbe di praticare ulteriori fori.
Non è stato discusso, rimandando la questione ad una seconda riunione, su quali materiali e procedure adottare nel caso dell’attrezzatura di nuove vie su falesie molto esposte alle severe condizioni dell’ambiente marino. Sappiamo che l’UIAA si sta occupando del problema e che sta eventualmente pensando di specificare meglio la norma relativa agli ancoraggi ad espansione (CE/EN 959), soprattutto per l’attrezzatura in zone che vengono definite tropicali. Tuttavia i recenti casi di rottura hanno evidenziato come vi siano stati episodi riconducibili a fenomeni di pitting, oltre che in Sardegna, anche in Sicilia, Baleari, Calanques e Grecia e che quindi non si tratti di un fenomeno circoscritto a falesie esposte a particolari condizioni climatiche tropicali.
Sappiamo anche che alcune ditte si stanno attivando per mettere sul mercato una linea di prodotti in “acciaio marino”, verosimilmente 316, 316L, 1.4462. Ci auguriamo che siano eseguiti tutti gli studi del caso per chiarire quale “vita” e garanzia possano dare questi materiali in particolari condizioni come le falesie marine, e che d’ora in poi esse siano ben specificate e certificate dai produttori/rivenditori all’atto della vendita.
Scuola di Alpinismo ed Arrampicata CAI Cagliari
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