Livio Belliardo e Marco Bernini presentano la Rocca la Meja (2831m, Val Maira, Alpi Cozie), con la storia e le nuove vie di arrampicata degli ultimi anni per riscoprire una montagna bellissima quanto solitaria e affascinante.
Facciamo il punto su una montagna solitaria, la Rocca La Meya , posta in una sperduta quanto bellissima valle poco a sud del Monviso. La Val Maira, nota agli arrampicatori per il gruppo quarzitico Castello Provenzale, è una placida valle a metà tra l’alpino ed il marittimo, che però nasconde muraglie di calcare inaspettate come appunto La Rocca La Meya, nota per lo più agli aficionados del luogo.
Livio Belliardo e Marco Bernini ci fanno il punto sulla non lunga storia di questa montagna e sulle ultimissime aperture, terminate solo pochi mesi fa. Il tutto vuol essere un invito anche a chi viene da lontano a scoprire una bella montagna in una zona delle Alpi che è rimasta felicemente lontano dal turismo di massa.
Livio Belliardo: “Negli ultimi anni, ovvero tra il 2006 e il 2010 la storia di questa montagna ha conosciuto un periodo sicuramente nuovo, di cambiamento, o per lo meno questo si poteva pensare quando sono nate le ultime vie a spit come si suol dire “plaisir”. Fino ad allora la Meja non era così frequentata, le vie più gettonate erano le ultime aperte su difficoltà abbordabili e chiodatura tutto sommato sportiva quali Piccola Peste, Rolling Stones, Palpapupum ecc.. Molti furono gli apritori che misero mano su queste pareti. Poi c’erano le vie del “Cege”, spesso temute per via dell’impegno che richiedevano (ricordiamo le mitiche “Guanta la Meja” e “Trentun’anni e non sentirli”). Su alcune si raccontavano anche delle storie… quasi a voler mitizzare quelle vie che “tanto prima o poi bisogna fare…azz!”. Le classiche e le vie più vecchie invece non venivano praticamente ripetute, anche per via delle scarse informazioni che si potevano reperire in giro. Ma nell’aria si sentiva che ci sarebbe stato uno scossone… doveva esserci.
Ed ecco che ad un certo punto compare un arrampicatore e alpinista saluzzese, Marco Bernini, con una buona esperienza in apertura di nuove vie, il quale probabilmente stregato alla vista di questa imponente cattedrale, sembrava avesse preso di mira la Meja, come un binocolo che dal panoramico Colle Margherina viene puntato sul settore orientale della parete. In poco più di un anno Bernini inizia ad aprire alcune vie in una zona che fino ad allora conosceva soltanto uno o due itinerari, poco conosciuti, scovando una serie di linee molto belle, scoprendo che su quelle placche c’erano buone possibilità, su roccia bellissima e incredibilmente lavorata. La scoperta di questa roccia così particolare, e le difficoltà medio facili incontrate, lo porteranno ad aprire delle vie in chiave prettamente sportiva, perché vuole dare la possibilità ai più di poter saggiare queste pareti senza troppi patemi d’animo, per il puro gusto di godersi una giornata di divertimento in ambiente alpino. Nascono così vie come “Un tonfo per Lally”, “Così vicino cosi lontano” e “Il battesimo di Franz”. E il bacillo dell’arrampicata “plaisir”, portato dal vento o da chissà che cosa, arriverà anche qui.
In ogni caso la scintilla ha fatto breccia, e come nelle migliori favole ecco che la Meja, dopo un lungo periodo passato a sonnecchiare, inizia ad essere salita da un numero sempre crescente di arrampicatori. Le ultime vie aperte verranno ripetute continuamente e molte altre ritroveranno lo splendore che si meritano. La voce si sparge rapidamente e il nome di questa montagna ritornerà nella testa di alpinisti veterani e nuovi (quali Marlier, Caserini e soci) che nel 2008 apriranno nuove vie, per lo più bellissime, seguendo linee indipendenti e con un livello un po’ più alto delle precedenti. Nascono così vie come “Alpstation”, “Solo per vecchi minchioni” o “Correnti Gravitazionali”.
Il bacillo “plaisir” però è già svanito… o come il vento l’ha fatto arrivare, se l’è portato via. Le ultime vie ritornano a regalare la chiave di lettura che qui calza a pennello, dove le placche sono così aderenti che ti mordono via la suola delle scarpette, l’ambiente e il profumo di montagna ti fan venir voglia di provare qualcosa di più “gustoso”, con una componente psicologica che si mescola al gesto in perfetta sintonia. Quindi chiodatura un po’ più ariosa, qualche protezione veloce … e andiamo!!!
Siamo quasi ai giorni nostri, nel 2010, e la Meja è davvero apprezzata. Molta gente sulle pareti in estate e in autunno, ma tutti sulle vie più conosciute o le ultime aperte. Ed è in questo periodo che due appassionati del luogo e dell’arrampicata in generale (Livio Belliardo e Francesco Bottero) si danno alla ripetizione sistematica di tutti gli itinerari (e qualche via nuova), andando a scovare tutto quello che di poco chiaro c’era su questa montagna, per portare alla luce vie che sembravano sparite nel nulla, ma soprattutto per creare una guida completa che fino ad oggi non c’era. Dopo due anni di lavoro, nel marzo del 2011 esce la guida “Rocca la Meja Alp-Climbing” prodotta da una piccola e coraggiosa casa editrice di Dronero CN (I libri della Bussola – GEM Communication).
Ma quel binocolo puntato dal Colle Margherina, il buon Bernini non se l’era portato via? …evidentemente no. Dopo una breve pausa che lascia a metà la sua ultima creazione del 5 Luglio 2010 (ovvero la parte inferiore di “Up-Down”) ritorna a completare l’opera nell’ Agosto 2011 con Stefania Aragno, ma soprattutto con l’inossidabile Max Piras, che su queste pareti ha già aperto alcuni itinerari usando stili diversi molti anni addietro, come “Il Bidone”, “Jogging into Wall” o la “Massimo Romanelli”. Questa volta Bernini (con pieno appoggio del socio, ovviamente..) decide di aprire nello stile che più apprezza e che gli si addice, cioè lo stile che qui va per la maggiore… e andiamo!
Arriva quindi il completamento della via “Up-Down” nella parte superiore, che parte dalla cengia della via normale e si insinua su per una bellissima serie di diedri verticali ed esposti, con una bella placca finale su “grattugia gialla” (roccia incredibilmente lavorata, tipica qui alla Meja), chiodatura lunga ma integrabile, una linea un po’ nascosta che gli apritori hanno saputo vedere, ma soprattutto volere!
La seconda, nonché l’ultima realizzazione, sempre di Bernini e Piras (Luglio 2012) si chiama “Eppure il vento soffia ancora”, solca anch’essa tutta la parete, dallo zoccolo fin sulla cima di una guglia prossima alla cima, con uno sviluppo intorno ai 300m. Una prima parte tranquilla, ma con chiodatura ariosa, di riscaldamento, lascia spazio alla parte superiore molto più decisa. Questa via rispetto alla precedente è più ingaggiosa, con un grado obbligatorio intorno al 6b che è meglio avere, a meno che siate degli amanti del gusto dell’adrenalina sul palato. Per carità, nulla di abominevole, se paragoniamo la maggior parte delle vie qui alla Meja in un quadro generale che oggi arriva al grado 9, queste non risulterebbero più che delle salite su difficoltà medio-facili… ma sapete… per noi arrampicatori appassionati del fine settimana (e siamo parecchi), questo è già un bel banco di prova per divertirsi come Dio comanda! Eccheddiamine (per essere educati…!) In ogni caso se non si era capito: come per le altre vie su questo stile a metà fra l’arrampicata sportiva e l’alpinismo, chiodatura lunga, qualche protezione veloce… e via!
Roccia per lo più ottima, non un tiro uguale all’altro, si passa dallo spigolo, al diedro perfettamente fessurato da fare alla Dulfer, alla placca iperlavorata, alle fessure larghe e strette, spesso taglienti… e cosa volere di più?! Poi se si becca una bella giornata… insomma, roba da non farsi mancare.”
Come un urlo che prepotente fuoriesce da una tranquilla distesa di prati, la Meja lancia i suoi lunghi artigli verso il cielo azzurro; con la lunga e aguzza criniera argentata si fa bella in mezzo al grande paesaggio, rubando così lo sguardo di chi passa, stupefatto dalla sua selvaggia eleganza. (Cit. Rocca la Meja Alp-Climbing)
Livio Belliardo
Marco Bernini: “Ebbene sì, come racconta Livio, la Meja mi ha stregato, e non può essere altrimenti. Quando arrivi al Colle Margherina e la vedi li, come una splendida cattedrale immersa nei prati non può non suggestionarti. Iniziai così a scrutarne i vari pilastri e le immense placconate, e ad immaginare linee.
Dapprima, con una certa soggezione al pensiero delle vie aperte da personaggi del calibro di Ravaschietto, Manna, Cavagnero, Salsotto, ecc…, il tarlo di poter trovare lo spazio per nuovi itinerari inizio a rodermi, dunque tornai con binocolo, macchina foto e l’unica monografia sulla montagna, apparsa su AlpiDoc n° 25 del 1998! Incredibilmente i bei pilastri a destra del corpo centrale non presentavano itinerari, fatto salvo per Piccola Peste, ma il resto… tutto il resto… fu così che, con vari compagni quali V. Galizio, F. Bottero; F. Parussa, …vai di trapano!
Salendo le prime vie mi resi conto della bellezza della roccia, che, pur se distante dalla purezza del calcare della Provenza, presentava per lunghissimi tratti un’aderenza con pochi pari e lunghe sezioni su muri e placche interrotte solo da qualche cengia un po’…pietrosa che ha richiesto opere di pulizia, ma il resto! Certo… qualche appiglio era, o rimane un po’ da valutare, ma si è ben distanti da alcune pareti dolomitiche.
Da lì il pensiero che le vie ingaggiose già c’erano, dunque perché non rendere queste più accessibili, date anche le difficoltà non elevate, senza però regalare nulla, e plaisir dunque fu… Se non per constatare poi, con l’apertura delle suddette vie di Marlier e soci, che anche le vie con un po’ più d’ingaggio venivano regolarmente salite, e con un certo successo anche.
Dopo un anno di stasi ripresi in mano il famoso binocolo e le foto, rendendomi conto che anche nel corpo principale della Meja c’era ancora spazio su di un bel pilastro “vergine” che partiva dallo zoccolo. Non restava che trovare il “socio”… dura realtà. Per l’ennesima volta convinsi, non senza fatica, il buon Piras, che, come dice lui…”ancora una volta mi hai inculato!”. Nacque così Up-Down.
Non sazio, un giorno, seduto sul water (buon consigliere), mi capitò in mano un numero di Meridiani con la Meja in copertina e …azz… un altro pilastro, appena a destra del suo gemello dove corre “31 anni…”, apparentemente senza linee si materializzò. Corsi, nuova guida alla mano, a telefonare a Livio, l’autore, che mi confermò il tutto. Altra telefonata al Piras e… inculato di nuovo! Ma questa volta con meno fatica, dato che si è aggiudicato anche dei bei tiri! Il giorno dopo eravamo all’attacco della parte alta di quella che diventerà poi “Eppure il Vento Soffia Ancora”, e successivamente toccò alla parte bassa, quella sullo zoccolo.
Per queste ultime due linee, non tenemmo più conto se chiodarle plaisir o meno, salimmo semplicemente come ci pareva, e, perché no, anche nel rispetto delle vie a fianco. Ora la Meja non ha più (credo) linee nuove da regalarmi, ma continua ancora a stregarmi, e ci torno regolarmente, a ripetere o solamente a farmi un picnic con mia figlia sui bellissimi prati alla sua base.”
Marco Bernini
Si ringrazia www.kinobi.it
SCHEDA: Eppure il vento soffia ancora – Rocca la Meja
SCHEDA: Up-Down – Rocca la Meja
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